RE CHICCHINELLA
Il paradosso dell’uomo e della gallina

‘’Non si trova modo 

di scioglier ‘sto nodo, 

non val il fuggire,

bisogna morire’’

 

Si conclude con questi e altri versi della Passacaglia della vita, nella versione di Franco Battiato, la tragicomica storia del Re Chicchinella con cui Emma Dante torna al teatro Argentina; dopo La scortecata Pupo di zucchero, la regista palermitana continua l’operazione di recupero delle fiabe seicentesche di Giambattista Basile, con l’adattamento di uno dei racconti più esilaranti della raccolta Lo cunto de li cunti.

 

In uno spazio scenico completamente vuoto, che isola lo spettatore in un tempo e in un luogo indefinito, prende vita la storia di un re e di un problema che nessuno riesce a risolvere: una gallina che con fermezza si tiene al suo sedere. 

 

Come l’animale sia arrivato in tale scomoda situazione lo racconta il re in persona (Carmine Maringola) mentre i due paggi (Davide e Simone Mazzella) lo aiutano nella sua routine mattutina; è bastato un semplice bisogno fisiologico, che lo ha costretto a fermarsi mentre era di ritorno dalla caccia, e la mancanza di una pezza adeguata per pulirsi, a far si che si avvalesse di quella gallina apparentemente morta, dalle piume morbide e setose, adatte a risolvere l’emergenza.

 

Un banale errore di valutazione dunque, un incidente dalle dinamiche alquanto particolari, tanto doloroso quanto irrisolvibile; sì perché nulla sembra smuovere la gallina, convincerla a lasciare la presa, né unguenti, né tenaglie o qualsiasi altro strumento provato da medici e luminari, giunti da tutto il regno per provare a risolvere quel bizzarro problema. 

 

L’assurda comicità dell’accaduto, accentuata dall’uso del dialetto napoletano in tutte le sue colorite sfumature, ma anche da una esasperata gestualità, sicuramente frutto di un meticoloso lavoro sulla fisicità degli attori e sul movimento scenico, lascia lentamente spazio a un’amara verità, come del resto accade in tutte le fiabe. Il dolore fisico provocato dalla gallina, difatti, permette al re di aprire gli occhi su un male ancora peggiore, un male che lentamente si è fatto strada nella sua corte fino a circondarlo completamente, senza che lui neanche se ne accorgesse: l’indifferenza.

L’ocheggiare delle dame di corte che arrivano a dare il buongiorno al sire scatena una risata spontanea anche solo per la costante ripetizione a pappagallo di frasi e movenze che provano ad ostentare un’eleganza in realtà impropria; basta poco però per capire che il loro interesse non è rivolto al re, ma alle sue ricchezze, di cui godono come sanguisughe. 

 

La moglie (Annamaria Palomba) probabilmente lo ha sempre detestato, non è mai riuscita a sopportare la sua mancanza di raffinatezza, la sua incapacità di cogliere la vera bellezzitudine, il suo rifiuto dell’etichetta, tutto inaccettabile per lei, figlia di una rigida educazione francese. 

 

Persino la figlia (Angelica Bifano), forse l’unica ad avere un minimo di reale interesse nelle condizioni del padre, viene risucchiata dal fasto, spogliata del suo abito bianco come della sua innocenza, trascinata dalle dame di corte in un lusso tanto sfrenato quanto superficiale, che fa di una semplice ora del tè una pacchiana ostentazione. 

 

Dunque una corte piena di persone che vedono nel proprio re un’occasione, un patrimonio, tanti titoli e ricchezze, ma sicuramente non una persona; nessuno è in grado di comprendere il suo dolore e il suo estremo bisogno d’aiuto, d’altronde non sono neanche in grado di distinguere l’uomo dalla gallina, perchè in fondo l’animale è solo l’ennesima fonte di guadagno a loro favore.

 

Se infatti la sua presenza non permettesse al re di espellere uova dorate ogni volta che ingerisce qualcosa, nessuno di loro si preoccuperebbe così tanto della sua salute, nessuno si curerebbe di farlo mangiare e bere; e questa dura verità diventa ancora più lucida quando l’unica soluzione possibile agli occhi del re è un’ardua scelta: o la vita o la gallina, o la solitudine o la morte. 

 

A questo punto verrebbe da chiedersi chi è il vero cattivo di questa storia, se una gallina impertinente e determinata nel suo atto di difesa o un’intera corte che si nutre di falso interesse e menzogne; ma la verità è che la risposta è irrilevante, l’unica certezza è che ‘’bisogna morire’’, questo è il destino di ogni cosa al mondo e questo è il destino del nostro re che pur di non darla vinta a quella gallina si lascia morire di stenti. 

 

Ma si sa, per una vita che va una che viene; e così, mentre il memento mori della Passacaglia della vita risuona in sala, un improvvisato funerale rende onore al Re Chicchinella che, entrato nella sua nuova forma di gallina, si gode, appollaiato sul trono, la finta adorazione di sempre. 

 

Vittoria Ferraro Petrillo