Makom
Luogo, casa, polarità

Come si possono unire le persone quando le loro esistenze si muovono in direzioni opposte, su dimensioni lontane e in tempi ora dilatati ora compressi?

 

Questo interrogativo è stato un punto di partenza da cui Noa e Rina Wertheim hanno avviato l’ideazione del loro lavoro coreutico, Makom.

Eppure questa unione per essere vera e sperimentata da tutti deve prima affrontare una scissione: spesso incontriamo tante somiglianze ma altrettante sono le diversità che abitano noi e il mondo. In Makom (che in ebraico significa luogo, ma anche ricerca di una casa e di dove siamo adesso) le polarità e le contrapposizioni si riuniscono e si disfano in un continuo divenire come la fluida architettura dei corpi danzanti. 

 

Il primo, chiaro esempio di doppio in scena lo abbiamo con la reiterazione, ben 3 volte, di duo. Un primo indizio sul carattere raffinato che questo spettacolo svela per gradi con la diversificazione di registri e l’uso cosciente e mirato di segni e simboli.

 

Serve dunque una congiunzione per armonizzare poli discordi. L’essere umano si fonda sulle contrapposizioni e più riuscirà a farle convivere in sé, sfruttandone le potenzialità, maggiori saranno i benefici di cui avvalersi.

 

Da una timida rivelazione individuale si attraversa il flusso degli egoismi e della prevaricazione approdando così a un terreno dove l’intesa collettiva diviene il fulcro dell’energia, risorsa per i simili e ricchezza per i contrari.

 

Non è un caso che una componente fondamentale sia proprio il ponte, inteso sia come passaggio — al di sopra e al di sotto — che come collegamento tra i corpi dei danzatori e delle danzatrici. Il pubblico ha avuto modo di percepirlo prima dal punto di vista visivo e poi da quello uditivo e cinematico.

 

Questa struttura raffigura la volontà delle autrici di farci attraversare qualcosa per avvicinarci a qualcos’altro ma anche di essere attraversati, cioè sovrastati, da un’opera, un’azione verso cui rivolgere le nostre aspirazioni, magari più grande di noi ma non per questo al di fuori della nostra portata.

L’intento di Vertigo è quello di accompagnarci verso il raggiungimento di un equilibrio tra umanità, arte e natura in un percorso d’introspezione attento e consapevole basando lo studio sui bisogni essenziali che troppo spesso ignoriamo o sottovalutiamo.

Nella comprensione di cosa è veramente buono per la nostra persona risiede l’invito di questa danza potente e spettacolare: è proprio il singolo, origine comune di ogni decisione e radice di qualsiasi scelta, a iniziare la coreografia o ad abbandonarla precocemente senza mai intaccare lo svolgimento dell’azione.

 

In questa innocua evidenza, in effetti, tutto sembra suggerirci che, come il corpo reclama o sfoga i propri bisogni talvolta arbitrariamente lasciandoci in un limbo di dubbio appagamento, così Makom porta lo spettatore a intuire se il palcoscenico manca o abbonda di qualcosa. Ecco che quella necessità di bilanciamento tra più componenti si traduce in una simbiosi costante tra etica ed estetica laddove, ancora una volta, è la (ir)razionalità umana a dettare le leggi omeostatiche in scena e nella mente.

 

Di conseguenza, anche il significato della parola Makom potrebbe essere spiegato. In ebraico מָקוֹם vuol dire luogo o spazio ma in senso più ampio anche alzarsi, svegliarsi, l’essere sulle proprie gambe, aiutarsi, edificare e un’altra serie di significati legati comunque al movimento; oltre che — rintracciando la prima apparizione di questo vocabolo nella Torà — viene usato anche per denominare Dio.

 

Ora, tralasciando l’origine religiosa del termine, si può interpretare il titolo dello spettacolo come rappresentazione massima del senso di continua scomposizione e ricomposizione di un sistema. Questo processo però non ha un inizio e una fine precisati ma è come se prevedesse l’accoppiamento di ogni nostro movimento a una modificazione della nostra presenza e dello spazio a sua volta modificato dallo spostamento della nostra presenza in esso.

 

Di nuovo una coppia, di nuovo la ricerca di una staticità in azione, di nuovo un effetto d’imprevedibile ma controllata trasformazione, volontaria perché inevitabile, travolgente perché urgente.

                                                                                                 

 

Francesco Baldoni