Atomica: capire l’oggi solo immaginando il domani

Con AtomicaMuta Imago prosegue la propria indagine sul rapporto fra tempo, memoria e identità, portando sulla scena una storia in cui l’immaginazione si fa vero e proprio strumento politico prima ancora che poetico. Il duo composto da Claudia SoraceRiccardo Fazi — lei regista, lui dramaturg e sound artist —da anni costruisce dispositivi scenici capaci di mettere in relazione la sfera dell’immaginazione con quella della realtà presente, umana, politica e sociale. In Atomica, questo equilibrio trasforma un episodio cruciale della storia del Novecento in una meditazione collettiva sulla responsabilità umana in un mondo sempre più governato dalla tecnica.

 

Il punto di partenza è semplice e terribile: “Quello che abbiamo ottenuto è il più grande risultato scientifico della storia odierna”, dichiarava Truman il 7 agosto 1945, il giorno dopo Hiroshima. Parole che, nel tessuto dello spettacolo, risuonano come un monito: l’atto inaugurale di un’epoca in cui la tecnica supera la nostra capacità immaginativa. La bomba come apice dell’efficienza e, insieme, come evento che priva l’individuo del controllo sulle conseguenze del proprio agire.

 

È all’interno di questo paradosso che si colloca la figura di Claude Eatherly (Gabriele Portoghese), il meteorologo e pilota che diede il via libera allo sgancio. Atomica lo mette in dialogo con il filosofo Günther Anders (Alessandro Berti), che realmente intrecciò con lui una corrispondenza epistolare riconoscendo nella sua storia il paradigma di una condizione più ampia. Anders osserva come, nell’epoca della tecnica, chiunque possa trovarsi coinvolto in processi che generano conseguenze enormi e imprevedibili – conseguenze che nessuno approverebbe se potesse davvero immaginarle. In questo senso, Claude diviene per lui una sorta di “maestro involontario”: non per il suo ruolo operativo, ma perché la sua esperienza mette a nudo la vertiginosa sproporzione fra un’azione minima che un individuo può compiere e gli effetti smisurati che essa può innescare.

 

Eatherly, dal canto suo, non rivendica attenuanti. La sua ostinazione nel dichiararsi responsabile — a differenza di chi il bombardamento lo ordinò — diventa un gesto etico che lo distingue nettamente dalla logica della “rotella dell’ingranaggio”. Per Anders, proprio questa capacità di assumersi una colpa che nessuno pretendeva da lui dimostra come la coscienza appartenga a chi continua a interrogarsi e a mettersi in dubbio. “Oggi avere coscienza significa proprio questo: dubitare della propria coscienza”.

L’impianto visivo e sonoro dello spettacolo amplifica queste tensioni. La Pika — il lampo dell’esplosione — torna ciclicamente come uno squarcio nel buio, accompagnata dal coro formato dalle testimonianze dei sopravvissuti: voci che raccontano il fumo nero che cancellava ogni cosa, la sensazione di diventare essi stessi parte del buio, la città dissolta in cenere. Questi frammenti riescono nell’intento di far emergere il trauma nella sua natura intermittente e sensoriale: bagliori, sensazioni fisiche, immagini che irrompono senza ordine e che lo spettacolo restituisce come incursioni improvvise nella coscienza dei personaggi. In questo modo la scena non rievoca Hiroshima, ma ne fa percepire la presenza residua, la sua capacità di tornare e di alterare lo sguardo di chi l’ha attraversata — o, come Claude, di chi ne porta il peso pur avendola vista solo dall’alto.

 

In questo quadro, il volo di Eatherly diventa figura del tempo: osservando da lontano l’esplosione, il pilota percepisce le onde di luce come qualcosa che aveva “già immaginato”, provenienti da un futuro che sembrava scritto in anticipo tanto quanto il passato. Il futuro, dice Anders, è già cominciato, e la realtà può essere vista solo da chi è disposto a immaginare il domani.

 

Sorace e Fazi costruiscono lo spettacolo proprio intorno a questa idea di temporalità espansa. Il viaggio di Claude nella sua psiche diventa un viaggio per tutti: un movimento che attraversa l’America degli anni ’30, la Seconda guerra mondiale, gli anni della Guerra fredda, fino a toccare la nostra epoca. La ricostruzione di Hiroshima, che Anders definisce “distruzione della distruzione”, diventa metafora di ogni tentativo di cancellare ciò che ci abita ancora. È questa tensione fra rimozione e memoria, fra ingranaggio e scelta, a costituire il vero spazio drammatico.

 

Come ribadito dagli stessi autori e interpreti nel Talk condotto dallo Young Board di Dominio pubblico al Teatro India, Atomica è quindi un esercizio di immaginazione e azione responsabile: una forma teatrale che interroga il presente attraverso il passato e costringe a pensare in termini di effetti, non solo di gesti. Un teatro che, come desidera Muta Imago, non si limita a rappresentare, ma apre possibilità percettive, scava nel tempo, accende lampi nella memoria. Un teatro che ci mette di fronte a ciò che potremmo non voler vedere, ma che dobbiamo continuare a immaginare.

 

Emanuele Sicignano