IL GOLEM E Il VALORE DELLE PAROLE
 Chi sono davvero?

Una malattia incurabile e una moglie che farebbe di tutto pur di aiutare suo marito sono il pretesto per parlare ed esplicitare il valore e la potenza delle parole. Minacciata dalla possibilità di perdere il marito, la protagonista della vicenda, Felicia, è portata inconsciamente al sacrificio della propria identità e di ciò che crede di essere. 

 

Tramite un contratto stipulato con la traduttrice Salinas apprendiamo dell'esistenza di una figura misteriosa e potente, probabilmente un leader del passato rievocato grazie all'apprendimento che Felicia è costretta a fare delle sue parole - o formule. Trasformata e irriconoscibile, la donna diventa il tramite di un nuovo, pericoloso e al contempo salvifico linguaggio. Le parole sono l’arma più grande che abbiamo, non sono né buone né cattive, esattamente come il Golem.  

 

Il Golem è un testo scritto da Juan Mayorga nel 2020, riscritto e rispedito più volte al regista romano Jacopo Gassman. Si parte dalla leggenda ebraica di questa figura rappresentante un gigante d'argilla che non possiede intelligenza né altre facoltà intellettive, ma possiede una forza disumana ed è, in tutto e per tutto, un “gigante”.

 

Nel testo di Mayorga Felicia (Monica Piseddu), per salvare il marito Ismael (Woody Neri), stipula un contratto con la “traduttrice” Salinas (Elena Bucci): la donna le promette di curare l’uomo a patto che lei impari una nuova lingua. Felicia inizia così un viaggio che la porta alla conoscenza di un’altra entità misteriosa.

La prima parola che Felicia impara è “No”, il termine di opposizione politica per eccellenza, parola che ci permette di diventare noi stessi e di negare l’altro da sé. Nel mondo contemporaneo parliamo per lo più attraverso formule ed epiteti ricorrenti, dimenticandoci alle volte della possibilità di dire “No”. Possibilità, però, che in realtà Felicia non ha davvero in quanto è sotto “ricatto” e non sa che andrà a sacrificare se stessa e ciò che la circonda pur di salvare il marito. 

 

Le parole sono l’arma più grande che abbiamo, non sono né buone né cattive, esattamente come il Golem. 

 

Nello spettacolo è evidente il focus sul peso della globalizzazione, delle formule che vengono ripetute molte volte senza saperne il reale significato. Felicia, che cerca di imparare una nuova lingua senza realmente comprenderla, ci dimostra la tendenza comune e attuale ad appiattirsi sul conformismo, restando attoniti nei processi della globalizzazione. Felicia accoglie parole che poi la cambieranno non solo esteriormente, con la postura e la gestualità, ma anche psicologicamente e quindi verbalmente. Il suo percorso può apparire al contempo positivo, rivoluzionario e manipolatorio, tutto la modifica e la cambia. 

 

Per rappresentare la figura di questo quarto personaggio, il Golem, Jacopo Gassmann decide di fare un uso sapiente della tecnologia e della scenografia: schermi che espandono e moltiplicano la realtà scenica trasportano lo spettatore in un mondo di infinite rifrazioni. La scenografia è in grado di rispecchiare l’attore o lo spettatore, ma anche di rivelare altre “creature” se illuminata da dietro, momento in cui vediamo finalmente  il “Golem” prendere vita e avvicinarsi a Felicia.

 

Come nota a margine dello spettacolo non si può non tenere conto di una riflessione posta dalla traduttrice Salinas. Il suo personaggio afferma che, nel momento in cui le macchine ci sostituiranno - come sta accadendo con l’utilizzo dell’intelligenza artificiale -, si perderà quel rapporto che esiste tra la parola e colui che la pronuncia. È questo, secondo Elena Bucci, il segreto del linguaggio: nessuno sarà mai in grado di pronunciare una parola nello stesso modo di un altro, è questo che riesce a renderci diversi. 

 

Francesca Maddalena