La prima parola che Felicia impara è “No”, il termine di opposizione politica per eccellenza, parola che ci permette di diventare noi stessi e di negare l’altro da sé. Nel mondo contemporaneo parliamo per lo più attraverso formule ed epiteti ricorrenti, dimenticandoci alle volte della possibilità di dire “No”. Possibilità, però, che in realtà Felicia non ha davvero in quanto è sotto “ricatto” e non sa che andrà a sacrificare se stessa e ciò che la circonda pur di salvare il marito.
Le parole sono l’arma più grande che abbiamo, non sono né buone né cattive, esattamente come il Golem.
Nello spettacolo è evidente il focus sul peso della globalizzazione, delle formule che vengono ripetute molte volte senza saperne il reale significato. Felicia, che cerca di imparare una nuova lingua senza realmente comprenderla, ci dimostra la tendenza comune e attuale ad appiattirsi sul conformismo, restando attoniti nei processi della globalizzazione. Felicia accoglie parole che poi la cambieranno non solo esteriormente, con la postura e la gestualità, ma anche psicologicamente e quindi verbalmente. Il suo percorso può apparire al contempo positivo, rivoluzionario e manipolatorio, tutto la modifica e la cambia.
Per rappresentare la figura di questo quarto personaggio, il Golem, Jacopo Gassmann decide di fare un uso sapiente della tecnologia e della scenografia: schermi che espandono e moltiplicano la realtà scenica trasportano lo spettatore in un mondo di infinite rifrazioni. La scenografia è in grado di rispecchiare l’attore o lo spettatore, ma anche di rivelare altre “creature” se illuminata da dietro, momento in cui vediamo finalmente il “Golem” prendere vita e avvicinarsi a Felicia.
Come nota a margine dello spettacolo non si può non tenere conto di una riflessione posta dalla traduttrice Salinas. Il suo personaggio afferma che, nel momento in cui le macchine ci sostituiranno - come sta accadendo con l’utilizzo dell’intelligenza artificiale -, si perderà quel rapporto che esiste tra la parola e colui che la pronuncia. È questo, secondo Elena Bucci, il segreto del linguaggio: nessuno sarà mai in grado di pronunciare una parola nello stesso modo di un altro, è questo che riesce a renderci diversi.
Francesca Maddalena