Un occhio. Un enorme occhio. Non si sa per quanto starà lì a guardarci. Massini è ritto e composto davanti a noi, indossa degli abiti che sembrano quasi voler richiamare quelli indossati dall’uomo in cui si sta per incarnare. Che voce! Non viene dalla bocca ma dagli occhi. Ci fissano e non ci lasciano andare via, non importa dove ci troviamo, che siano le balconate o la platea: Massini sta parlando con noi; Massini sta raccontando una storia proprio a noi. Gli basta ben distribuire questi sguardi nel corso dell’ora e quaranta di spettacolo per poter mantenere l’attenzione sempre alta. Ogni teatrante, o ogni artista, sa che l’essere umano è dedito alla noia; c’è chi dice sia ignoranza, altri invece danno la colpa all’opera, e c’è infine chi sta zitto, non per una mancanza di argomenti, ma perché già dorme. Uno spettacolo intero su Freud, sul “dottor Freddo” come lo chiamava ingenuamente una sua cameriera di origini italiane, non è scontato che riesca a mantenere sempre l’attenzione alta.
Un solo attore in scena, una scenografia scarna di particolari e solo tre musicisti come accompagnamento potrebbero all’apparenza non bastare per reggere uno spettacolo di lunga durata. Ecco allora che arriva l’occhio, quello di Massini, che ci osserva e ci parla, e poi quello scenografico, disegnato alle spalle dell’autore, che ci scruta senza mai abbandonarci. Dove siamo noi di solito durante uno spettacolo? Seduti sulle poltrone, questo è certo. Ma quando cala il buio ed è solo il palco ad essere illuminato dov’è che siamo? Siamo lì con gli attori? Siamo fuori già a parlare dell’opera? Potremmo insomma essere ovunque in quel buio, ma quegli occhi non ce lo permettono… ci dicono chiaramente, voi siete qui con me… con noi. Sono forse gli occhi dell’analista che scrutano dentro la nostra psiche? Può essere, come può essere che siano gli occhi di uno dei pazienti del dottor Freddo. Non è di sicuro strano che ci facciano provare angoscia, quella stessa angoscia che Freud dovette sopportare nell’interpretazione del primo sogno: il suo. Ogni atto creativo, qualunque esso sia, comporta una sua sofferenza e, in quanto tale, anche l’interpretazione dei sogni conduce verso questo tipo di sofferenza, con la promessa però, o con la speranza, di un futuro successo.
Che dunque si soffra guardando Massini mentre ripercorrere gli studi di una delle più grandi menti del secolo scorso. Che dunque ci si lasci andare all’angoscia davanti a questi occhi scrutatori. Ci concediamo a tutto questo purché alla fine ne sia valsa la pena. Per un attimo possiamo pure concederci ad una breve distrazione per chiederci cosa stiano provando i musicisti di Massini; possiamo chiederci cosa stiano pensano Saverio Zacchei (trombone e tastiere), Damiano Terzoni (chitarre) e Rachele Innocenti (violino) lì nel loro angolo mentre suonano. Poco importa in realtà. Non abbiamo molto tempo per darci una risposta, perché la loro musica ci trasporta in un nuovo capitolo, e poi ancora in un altro e così continuano a non lasciarci, continuano ad accompagnare quei due occhi nella loro narrazione.